Onde
31 luglio 2016 2:23di Marco Belpoliti.
Il signor Palomar è sulla spiaggia. Sta guardando le onde che s’infrangono sull’arenile. Come molti di noi, è attratto dal movimento del mare. Meglio: da un’onda singola. Il signor Palomar è infatti un osservatore scrupoloso, e vuole vedere l’onda, cioè cogliere tutte le sue componenti simultanee senza trascurarne nessuna. Non è facile. L’onda avanzando s’alza, si rimbocca di bianco, s’avvolge su se stessa, scompare e rispuntata come un tappeto bianco, poi risale la sponda per accogliere un’altra onda che arriva. Non è agevole tenere separata un’onda dall’altra, perché più che singole onde sembra un tappeto dalle mille forme. Il signor Palomar decide di limitare il suo campo d’osservazione, e divide mentalmente un quadrato di dieci metri di riva per dieci metri di mare. Il tentativo di descrivere le onde che passano dentro il quadrato è assai arduo. Le onde sbalzano, s’arruffano, si slanciano, si trasformano. Il vento ne influenza il movimento, ne determina la forza e la direzione. Insomma, alla fine il signor Palomar, protagonista di un celebre libro di Italo Calvino rinuncia a osservare e descrivere le onde e s’allontana innervosito dalla spiaggia. Il racconto dello scrittore ligure, che apre il suo volume di microracconti, Palomar (1983), ci fa capire quanto sia difficile descrivere le onde. Esse appartengono a quella classe di fenomeni sfuggenti e caotici, assai presenti in natura e per lo più legati al movimento. Gavin Preto-Pinney, autore della fortunata opera dedicata alla visione delle nuvole, Cloudspotting (Guanda), si è cimentato con l’osservazione delle onde e ha scritto, seppur con maggior difficoltà, come confessa, Wave Watching (Guanda), una guida per l’osservatore delle onde. Nel suo volume non ci sono solo le onde marine, ma anche quelle sonore, le onde elettromagnetiche, le onde infrarosse e quelle ultraviolette, oltre alle onde che ci attraversano, dal cuore al cervello. Il nostro mondo, a ben guardare, è tutto composte di onde, non meno importanti, o indagate, delle bolle. Ma per restare a quell’oggetto che attrae l’attenzione del signor Palomar, che cosa è esattamente un’onda marina? Una massa d’acqua in movimento, verrebbe da risponde. In realtà, la risposta giusta è: energia. L’acqua è solo il mezzo tramite cui l’energia si sposta da un punto all’altro, il “medium” attraverso cui viaggia l’energia dell’onda. Willard Bascom, ingegnere, diventato studioso dei movimenti della sabbia e del mare, in un piccolo ma prezioso libretto, Onde e spiagge (Zanichelli), dedicato alla dinamica della superficie marina, elenca le varie parti che compongono l’onda marina: cresta, il punto più alto; cavo, quello più basso; altezza dell’onda, la distanza tra cresta e cavo; lunghezza dell’onda, la distanza verticale tra cavo e cresta; periodo, il tempo in secondi necessario perché una cresta percorra una distanza pari alla lunghezza d’onda. Si tratta di un fenomeno visivo molto piacevole, da guardare, quasi ipnotico, e difficilissimo da analizzare, a causa appunto dell’irregolarità. Come sa chi si trova su un’imbarcazione, barca a vela o nave, è davvero difficile determinare forma e direzione delle onde.
Se all’improvviso si alza il vento, le increspature del mare si trasformano in onde sempre più grandi in rapporto con l’intensità e la durata del vento stesso, e non è bene restare in coperta su piccole imbarcazioni per osservare le onde. Del resto, le onde marine non viaggiano mai sole, ma in compagnia, cosa che il signor Palomar non ha subito compreso. Si parla di onda al singolare, ma sono sempre onde al plurale, creste e cavi. Le onde sono solo movimento, e ciò che conta è la loro frequenza, cioè il numero di creste che ogni secondo passano per un punto fisso, cosa che in mezzo al mare è difficile determinare, mentre su una spiaggia, come avrebbe potuto utilmente fare lo stesso il signor Palomar, si pianta un lungo bastone nella sabbia antistante la riva e si calcolano I passaggi. Da molto tempo gli scienziati si occupano di onde. Nel 1802 il ceco Franz Gerstner formulò la prima rudimentale “teoria delle onde”, descrivendo il moto circolare delle particelle d’acqua che formano l’onda, verificando così due movimenti contrapposti: quello della cresta e quello del cavo. E notò pure che il profilo superficiale dell’onda è un trocoide, curva descritta da un punto di una circonferenza che è fatta rotolare lungo una retta, ovvero una sinusoide. Seguono nell’Ottocento vari studi sull’onda di tedeschi, inglesi, francesi. Coloro che ne hanno studiato il movimento sono parecchi, alternando aspetti teorici – equazioni – e aspetti sperimentali – prove in grandi vasche. Il vento è il grande protagonista del moto ondoso del mare, dalle onde piccole alle onde maggiori, dai cavalloni alle onde lunghe. Una tipologia davvero interessante. Certo, guardare le onde sulla riva del mare, nel bel mezzo di un maroso, non è la stessa cosa che vedere il medesimo movimento in mare aperto su una nave. Come ha scritto in un bel libro Hans Blumenberg, Naufragio con spettatore (il Mulino), provoca reazioni emotive e mentali molto diverse. Nel libro di Bascom, pubblicato negli anni Sessanta, si vedono gli effetti dello tsunami del 23 maggio 1960 a Hilo, mentre Pretor-Pinney parla di quello del 26 dicembre 2004 nell’oceano Indiano. Da allora la parola, usata solo da oceanografi e specialisti, è entrata purtroppo nel lessico quotidiano. C’è anche un Raffaello delle onde, si chiama John Ervett. Nel 1919, subito dopo la Prima guerra mondiale, girò il mondo per studiare e dipingere le onde, in particolare i frangenti plunging, le onde che si tuffano sulla battigia, diverse dai surfing, quelle che la risalgono. Onde che piacciono particolarmente ai surfisti. Ad attrarre la nostra attenzione – davanti alle onde come ai grandi eventi naturali siamo bambini curiosi – sono probabilmente le onde anomale, quelle che hanno combinato grandi disastri alle imbarcazioni. Pretor-Pinney mostra l’immagine di una nave cisterna norvegese che ha la prua metallica aperta, come se fosse una scatoletta di sardine, da un’onda anomala durante una tempesta nel 1974. Oppure quelle prodotte da maremoti. Nell’agosto del 1868 una cannoniera americana nelle acque del Perù fu sollevata da un’onda, portata sopra la città da Arica, passò al di là delle case, su cui cadde invece la montagna d’acqua, e fu deposta oltre l’abitato, in una zona sabbiosa e incolta. Grazie alla sua chiglia piatta si assestò in perfetto equilibrio, e la vita di bordo, con alcuni piccoli cambiamenti, continuò per alcuni mesi. Potenza delle onde.
Pubblicato su Doppiozero il 31 Luglio 2016.
In copertina: Hans Peter Feldmann, Untitled (Seascapes), 2013, 15 paintings, oil on canvas, courtesy Massimo Minini Gallery
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