Pietre e sassi
7 agosto 2016 1:46Di Marco Belpoliti.
A tutti è capitato di raccogliere sassi sulla spiaggia del mare o sulle sponde di un lago, nell’alveo di un torrente o lungo un cammino di montagna, e di tornare dalle vacanze portando nelle valigie, o nello zaino, diversi “oggetti” destinati a fare bella mostra di sé su un tavolo, una scrivania o un davanzale. Perché le pietre ci attirano? Cosa vediamo in esse? Cosa ci seduce e cattura della natura minerale? Nel mondo antico esisteva un vero e proprio culto per le pietre (lìthos e lapis). I corpi solidi, fissati al suolo, sia di piccole come di grande dimensioni, comunicano la certezza di un’esistenza immota, come ha scritto l’antropologa del mondo antico, Sonia Macrì in Pietre viventi (Utet), libro dedicato ai minerali e alle pietre nell’immaginario dell’antichità. La pietra definiva la forza del guerriero omerico, ma anche la resistenza al tempo, sfidava l’eternità. Immobilità, stabilità, inattaccabilità, durata: i macigni e le rocce, i ciottoli e le lastre, attirano la nostra attenzione, e muovono la fantasia. La pietra si è sempre offerta allo sguardo degli uomini quale metafora dell’esistenza, entità suscettibile d’assumere valori e qualità cui gli uomini aspirano, ma che insieme temono. Basta leggere i miti della pietrificazione, come la vicenda di Medusa, dallo sguardo che trasmuta in sasso gli esseri viventi. Nella Bibbia s’incontra la storia della moglie di Lot, trasformata in una statua di sale. In molte leggende antiche viene presentata l’immagine della regressione dallo stato umano a quello minerale. Isidoro di Siviglia sosteneva nelle sue celebri quanto immaginifiche etimologie che “lapis” viene da “laedet pedem”, “ledere il piede”, perché la pietra è un impedimento: fa inciampare e cadere, compromettendo l’avanzamento regolare dei passi. Le pietre non sono solo statiche e inamovibili. In molti miti e leggende si animano, si muovono. Fissità e movimento sono la coppia che definisce la pietra.
Nell’Isola di Metà esiste una pietra che ha figli. La pietra hsiung-huang in Cina ha un sapore freddo e amaro; ad Asso, in Asia Minore, c’è invece una pietra che si fende e si solleva a strati ed è carnivora. In Spagna sono note da molti secoli pietre che partoriscono. Altre ancora, in Irlanda, gridano, oppure, come in Vietnam, sanguinano sotto i colpi di zappa. E ancora una pietra del Nilo somiglia a una fava e possiede la facoltà di non far abbaiare i cani, mentre sul monte Tmolo esiste una pietra che cambia colore quattro volte al giorno e la scorgono solo le bambine piccolissime, che non hanno ancora raggiunto l’età della ragione; questa pietra ha la prerogativa di proteggere dagli oltraggi le fanciulle nubili. Roger Caillois, straordinaria figura di scrittore, saggista, poeta, traduttore, romanziere, antropologo, sociologo, ha scritto di queste pietre che si animano, raccogliendo notizie sparse in libri e volumi introvabili. Ha dedicato parte della sua opera al mondo minerale, di cui è stato anche un accanito collezionista. Sulla scorta delle favole scaturite dal cuore della terra, Caillois ha descritto in vari volumi il misterioso mondo delle pietre, che precede l’uomo e che, per la durata, la durezza, l’intransigenza e lo splendore, non si può non invidiare. Pietre (editore Graphos) è uno dei titoli di questo maestro dell’immaginario. I sassi ci seducono per le loro forme arrotondate e per i colori brillanti che mostrano, oppure perché custodiscono al proprio interno forme iridescenti o bizzarre. Non si resta forse incantati davanti alle vetrine di negozi che espongono minerali e pietre rare? Da bambini la collezione di sassi e pietre è un’aspirazione irrefrenabile. Caillois, scomparso nel 1978, amava le pietre “nobili”, le agate, le ametiste, i quarzi o i diaspri, pietre che non è facile trovare nelle nostre località. Lo scrittore ha spiegato che le pietre ci attirano per la loro inerzia, ma anche per la loro funzione di “archivi della genesi del mondo”. Non sono infatti masse informi, che giacciono sulla terra senza scopo. Se le si osserva con attenzione, sostiene, vi si possono vedere sculture mitiche modellate nel momento stesso in cui l’universo progettava le sue prime forme. Nelle pietre, anche in quelle all’apparenza più insignificanti, si coglie il grande movimento dell’universo: la pietra è il punto d’incontro tra le forze e le forme. La materia minerale si presenta come il teatro, in cui si è svolta una grande lotta tra due energie antagoniste che, a seconda dei casi, possiamo identificare con i simboli universali del bene e del male, o con le leggi scientifiche che descrivono la tendenziale riduzione dell’universo verso lo stato inerziale. Caillois ha esplorato l’immaginario minerale partendo da un’idea di fondo: quella dell’unità della natura, nella quale un’identica trama regge la forma della pietra, dell’albero, dell’animale, nonché dell’uomo e dei suoi prodotti della mente.
Per questa ragione egli ha cercato di leggere La scrittura delle pietre (titolo di un altro libro pubblicato da Marietti), identificandosi con ciascuno dei frammenti, fino al punto di scrivere “un esemplare taccuino di corrispondenze che lo spingerà, a poco a poco, a definirsi attraverso una mitologia nuova, una metafisica, una morale, un’estetica, in quelle regioni al di là del tempo dove la vita e la morte sono sinonimi”, come ha scritto il poeta Edmond Jabès a proposito dei suoi libri minerali. Nel passato ci sono stati uomini e donne che hanno dilapidato enormi patrimoni per entrare in possesso di pietre, e non tanto, o non solo, di pietre preziose quali i diamanti. Perché le pietre? Lo spiega Italo Calvino. All’inizio degli anni Ottanta ha scritto un testo, Essere pietra, per una mostra del pittore Alberto Magnelli: “Io sono una pietra. Lo ripeto: una pietra. So che non potete capirmi; dovrei spiegarvi queste quattro parole una per una e a gruppi di due e di tre e poi tutte insieme: cosa voglio dire quando dico io, e quando dico essere, e pietra, e cosa vuol dire essere pietra, e una, una pietra… Forse in questo mondo di pietra non c’è un prima né un poi: il tempo delle pietre è concentrato nel nostro interno dove si addensano le ere. Neanche lo spazio che ci circonda conosce il tempo, per cui possiamo restare sospese lasciando che la forza di gravità si eserciti tra le nostre masse che si fronteggiano immobili. Ma anche noi nella nostra superficie scavata e scheggiata e rotta ci portiamo addosso una storia, tracce di eventi irrevocabili che non si situano in un quando e in un dove”. Oggetti senza tempo, che scandiscono il nostro tempo.
Pubblicato su Doppiozero, il 7 Agosto 2016
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