Acqua

14 agosto 2016 0:22 di jazzi

Di Marco Belpoliti.

L’ossessione della purezza, delle acque limpide, trasparenti, accompagna le nostre estati. Che sia di acqua da bere, o con cui lavarsi, o dentro cui immergerci per nuotare, deve essere comunque acqua incontaminata. Un tempo queste tre attività – bere, lavarsi, nuotare – si compivano nel medesimo liquido: sorgenti, torrenti, fiumi. Oggi le acque che usiamo non sono solo tre e differenti, bensì quattro, perché c’è anche l’acqua rimossa, quella che defluisce attraverso i tubi di scolo dei lavandini, le griglie delle docce e i sifoni dei water closet. L’“acqua sporca” corre nelle condutture delle fogne diretta verso i depuratori o, più spesso, dato che non ci sono o non funzionano, verso i canali e i fiumi, che attraversano le città, e si scarica in mare. Ogni anno, prima delle vacanze, i giornali pubblicano le classifiche delle acque marine pulite del Bel Paese. L’acqua, fonte di vita – siamo in gran parte composti d’acqua – è obbligo che sia pura. Nel 1984, Ivan Illich, sociologo, teologo e studioso delle istituzioni scolastiche, fu invitato a Dallas dall’Insistute of Humanities and Culture per parlare dell’acqua. Lo racconta nella conversazione con David Cayley (Conversazione con Ivan Illich, Quodlibet). Dallas è una città nata appena un secolo e mezzo fa, e da settanta anni vari gruppi di cittadini sollecitavano la costruzione di un lago in mezzo alla città, là dove un tempo c’era una fonte, un laghetto e un piccolo ruscello. Nel progetto le acque reflue degli impianti sanitari avrebbero dovuto essere depurate per produrre cascate e superfici riflettenti.

La prima reazione di Illich, davanti al progetto che gli viene sottoposto, è quella di chiedersi se quella sostanza, battezzata col suo simbolo chimico H2 O, era ancora acqua, se cioè assomigliasse ancora a quella “materia” che per secoli ha alimentato i sogni e l’immaginazione degli uomini. La risposta è contenuta nel testo di una conferenza di Illich, H2O e le acque dell’oblio (Macro edizioni), dedicata al mutamento delle nostre percezioni dello spazio urbano e delle acque che lo ripuliscono. Secondo il sociologo e teologo gli uomini avrebbero perso l’immagine dell’acqua come sostanza, una perdita che ritiene analoga e parallela all’affievolirsi dell’immaginazione in generale. Il problema che abbiamo, dice, non è tanto quello di non possedere un’immaginazione dell’acqua, quanto quello di essere incapaci di formarci dell’immagini dell’invisibile. L’immaginazione non è solo la facoltà di formarsi le proprie immagini della realtà, come si è soliti pensare, quanto la facoltà che “canta la realtà”. La città classica, secondo Illich, è prima di tutto un canto rituale di questo tipo e la sua sorgente sono i sogni. Charles Sprawson in un libro dedicato al nuoto, L’ombra del Massaggiatore Nero (Adelphi), ha raccontato numerosi viaggi nel tempo e nello spazio, attraverso specchi d’acqua dolce e salata, un viaggio solitario e malinconico alla ricerca di un’acqua che non c’è più, scomparsa, a suo dire, insieme ai sogni e alle immaginazioni che l’hanno accompagnata. Non è forse un caso che questo libro, diventato di culto tra gli amanti del nuoto, si concluda nei pressi delle acque di un’antica piscina romana, a Gafsa, ai margini del Sahara, dove le sacre sorgenti, “queste ridenti, leggiadre e mormoranti acque romane che un tempo zampillavano formando un ruscello limpido e dolcissimo, sono state ridotte a una cloaca maxima”.

Olafur Eliasson, Waterfall, 2016, ph. Anders Sune Berg

Olafur Eliasson, Waterfall, 2016, ph. Anders Sune Berg

Illich lega questa trasformazione all’incapacità che avremmo d’abitare la terra. Nel mondo ricoperto di cemento, lo spazio abitativo si è estinto, sopravvive solo qua e là, e la gente è “costretta a comperare spazio costoso in cui non può abitare”. Egli ripercorre la storia dei modi in cui l’acqua è entrata nella città per dissetare, ma soprattutto per lavare i suoi abitanti. La storia della purezza, scrive, è altrettanto storica quanto la storia della pulizia. Ci sono gli acquedotti romani, descritti da Sesto Giulio Frontino, che bucano le mura inviolabili della città per trasportare l’acqua di nove acquedotti lunghi 250 miglia, con una portata media di 378 litri di acqua a persona, che è rimasta sino ai giorni nostri in molti manuali di architettura la misura della disponibilità individuale d’acqua. Ma ci sono anche le acque impure. A Roma c’era la mitica Cloaca Maxima. L’idea che l’acqua, affluita attraverso condutture, debba abbandonare la città mediante condotti chiamati fognature è però moderna, tanto che non entrò nei piani urbani sino all’epoca in cui le città non ebbero le stazioni ferroviarie e l’illuminazione a gas, racconta Lawrence Wrightnel suo Civiltà al bagno (Garzanti). Italo Calvino in un racconto intitolato Il richiamo dell’acqua, compreso nella raccolta Prima che tu dica pronto (Mondadori), mette in scena un uomo sotto la doccia. Questi comincia a ragionare sull’acqua che sgorga sopra il suo capo. Forse, pensa, è proprio la vocazione dell’acqua quella che realizza la società contemporanea: il salire e lo zampillare, e poi il procedere verso il basso.

Per lui che si sta lavando, è nella dimensione dell’altezza che si realizza nella città stessa: “una Manhattan che innalza le sue vasche in vetta ai grattacieli, una Toledo che per secoli deve attingere barile su barile dalle correnti del Tago laggiù in fondo e caricarli sui basti dei muli”. L’immagine icastica con cui Illich raffigura la città moderna è quella di un’enorme costruzione edificata intorno a stanze da bagno e parcheggi, in cui la doppia canalizzazione dell’acqua pulita e dell’acqua sporca è replicata dalla circolazione dei veicoli. Gaston Bachelard, epistemologo francese, in Psicoanalisi delle acque, libro profondo per sensibilità e penetrazione della “materia-acqua”, esamina, attraverso poesie, racconti, quadri, le immagini dell’acqua dolce e salata, dell’acqua torbida e chiara, dell’acqua materna –

nell’immaginario è simile al latte – e femminile: i complessi di Ofelia e di Caronte. L’acqua è correlata anche alla morte, al viaggio nell’oltretomba, nonché alla depressione. Saturno è il malinconico dio fluviale, per quanto giustamente Sprawson parli del nuoto come terapia contro i mali dell’anima.

In questa estate di acqua ne abbiamo probabilmente avuta troppa, caduta dal cielo, con l’effetto in molti casi di deprimerci. Fortunati quelli che sono fuggiti verso luoghi aridi e secchi, forse avranno fatto sogni migliori di chi è rimasto a casa sotto la pioggia.

Pubblicato su Doppiozero, il 14 Agosto 2016

In copertina: Olafur Eliasson, Waterfall, 2016, ph. Anders Sune Berg

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