Stelle
25 settembre 2016 8:00di Marco Belpoliti.
Guardare le stelle è un’attività che sembra piacere a tutti, in particolare ai poeti e agli scrittori. Gli artisti, musicisti compresi, sono attratti dal cielo stellato. Tra i tanti possibili accompagnatori in questa visita al cielo sopra di noi – come viatico al senso morale dentro di noi, per citare l’intramontabile Immanuel Kant –, ci possiamo rivolgere al signor Palomar. Tra le molte attività visive del personaggio di Italo Calvino c’è anche l’osservazione del cielo.
Di giorno fissa la Luna, che gli appare come “un’ombra biancastra che affiora dall’azzurro intenso del cielo, carico di luce solare”; di notte invece, sul terrazzo, punta il telescopio verso il cielo. Se lo fa prestare da amici astronomi, un telescopio da 15 cm, piuttosto piccolo per l’uso scientifico, ma sufficiente per vedere meglio le stelle. Comincia con l’osservazione di Marte che gli “si rivela come un pianeta più perplesso di quanto non sembri a occhio nudo”. Poi tocca a Saturno. Gli appare nitidissimo, bianchissimo, con i suoi contorni della sfera e degli anelli. Forma diversa da tutti gli altri che lo rallegra. Quindi passa a Giove. Di mole maestosa ma non grave, scrive, “ostenta due strisce equatoriali come una sciarpa guarnita di ricami intrecciati, d’un verde cilestrino”.
Il racconto s’intitola L’occhio e i pianeti e sta incastonato nel libro Palomar dedicato alle avventure del suo alter-ego, avventure visive e insieme intellettive. Palomar, come il suo autore, ha letto molti libri e sa molte cose sulle stelle, e sui corpi celesti in generale. Nel suo racconto cita Schiaparelli, Cassini e Galileo; ed è anche informato sulle vicende ultime (siamo fine anni Settanta), del viaggio di Voyager 2, che ha informato la Terra delle sostanze e delle forme degli anelli di Saturno.
A Palomar non basta guardare dentro il cannocchiale, cerca anche di osservare il cielo a occhio nudo. La sera successiva torna sul suo terrazzo e guarda all’insù. La differenza è che ora è obbligato a tener conto delle proporzioni tra il pianeta e il resto del firmamento sparso nello spazio buio da tutti i lati. Poiché ha osservato con il telescopio, ora non solo vede ma anche immagina: posiziona i corpi celesti guardati con lo strumento ottico nel firmamento, mette l’immagine che ha in mente al posto della “minuscola macchia di luce che perfora il cielo”.
Nel libro c’è anche un altro divertente episodio, La contemplazione delle stelle, dove Calvino ironizza sulla passione astronomica del suo personaggio. Va sulla spiaggia munito di una carta stellare per identificare le stelle, che poi è il desiderio di tutti noi d’estate, al mare come in montagna. Come fare a riconoscere qualcosa più dei soliti carri e delle altre configurazioni arcinote? Dove stanno le altre stelle? Bisogna studiare sempre una mappa? Poiché Palomar è miope, è costretto a togliersi gli occhiali per leggere la carta che ha con sé, e poi a rimetterseli quando alza gli occhi verso l’alto. In più ha una lampadina tascabile per far luce sulla mappa. È agosto e la Gran Orsa “si distende quasi ad accucciarsi sulle chiome degli alberi a nord-ovest; Arturo cala a picco sul profilo della collina trascinando tutto l’aquilone di Boote; esattamente a ovest è Vega, alta e solitaria; se Vega è quella, questa sopra il mare è Altair e lassù è Deneb che manda un freddo raggio allo zenit”.
Deneb è una costellazione del Cigno che ha un discreto ruolo nei racconti astronomici di Calvino. Chi infatti conosce ad esempio Le cosmicomiche con il proteo Qfwfq e i suoi viaggi stellari all’origine dell’universo lo sa. Palomar ha il problema di chi non è un astronomo di professione: riconosce, da autodidatta, le stelle solo su carte e mappe. Davanti al cielo stellato, a questo meraviglioso paesaggio di puntini luminosi straordinariamente lontani da noi, tutto sembra sempre sfuggire. Le stelle sono là, ma vederle non basta, bisogna riconoscerle, no? Così la pensa anche Palomar. Il problema è che non si riesce, sdraiati sulla sabbia o sull’erba, a ricavare una qualsiasi valutazione delle dimensioni e delle distanze. L’osservazione, a parte il piacere della posizione schiena a terra e occhi rivolti all’insù, trasmette l’idea di qualcosa di “instabile e contraddittorio”. Palomar con i suoi movimenti nevrotici e la sua ansia di sapere ci comunica perfettamente l’idea che abbiamo oggi del cielo stellato. La contemplazione, che per i poeti e gli scrittori del passato era qualcosa di rasserenante e di piacevole, a noi uomini postmoderni appare invece come qualcosa d’incerto, di precario, d’instabile. Se il Cosmo per i nostri antenati, in particolare per gli antichi, era uno schema fisso e stabile – le stelle immobili nel cielo –, per Palomar, come per noi tutti, ci ricorda piuttosto ciò che accade sulla Terra in cui abitiamo. Di più, quello che accade nella nostra stessa testa: spazio caotico, in via di cambiamento continuo, distorto e periclitante.
Come sappiamo dopo aver letto anche solo qualche pagina divulgativa sulla fisica contemporanea e le sue teorie – chi non l’ha fatto? – sappiamo che anche il nostro stare sdraiati sul prato influenza le stelle sopra di noi, e poi nessuno sa ben dove si trovino ora, dato che niente è fisso e stabile, ma tutto in divenire e per questo indeterminabile (Heisenberg lo spiega molto meglio di quanto lo sto dicendo qui). Chi ha compulsato anche solo qualche paginetta di un manuale di astrofisica, o un articolo apparso su una rivista divulgativa, nel momento in cui guarda lassù, non può più ignorare che: l’universo ha oggi circa 13,7 miliardi di anni; è composto per il 73% di energia oscura, del 23% di materia fredda e scura; e soltanto del 4% di atomi. E poi che si espanderà per sempre. O almeno così ci hanno detto sin qui, anche se in questi giorni cominciano ad apparire versioni contrarie: tutto il contrario, si sta contraendo. Se il signor Palomar fosse ancora qui tra noi ne avrebbe sicuramente scritto, dal momento che quella dell’espansione e della contrazione è una vecchia storia che attraversa tutta l’astrofisica contemporanea: teorie cosmologhe rivali.
Guardare le stelle è diventato molto interessante da quando ci sono in orbita telescopi spaziali: Chandra e Hubble. Il primo ci ha mostrato i buchi neri e le supernove con il suo sguardo a raggi X e Hubble invece vede oggetti che noi da qui con i telescopi non riusciamo neppure a scorgere: un occhio prolungato oltre la superficie terrestre, oltre la sua atmosfera. Protesi straordinaria. Quando Calvino scriveva le osservazioni del suo personaggio era già noto il “principio antropico”, che aveva integrato il cosiddetto “principio cosmologico”. Per quest’ultimo, implicito nella relatività generale, “l’universo è, su scala opportunamente grande, omogeneo e isotropo”; per quello antropico, formulato per la prima volta nel 1973 da Brandon Carter, tutte le osservazioni scientifiche “sono soggette ai vincoli dovuti alla nostra esistenza di osservatori”. Ovvero anche stando sdraiati sul prato o sulla sabbia per guardare l’universo, lo influenziamo. Possibile?
Guardare le stelle non è un’attività neutra, anche se la si conduce con la persona che si ama al proprio fianco. Anzi, probabilmente il doppio sguardo, e lo sguardo incrociato, cambiano la forma dell’universo. Il signor Palomar lo sa e non lo sa. Non prende in considerazione gli scambi di amorosi sensi che le stelle inducono e neppure il feed back che tutto questo causa verso le costellazioni accese nel cielo estivo. No, lui è in definitiva un pasticcione, un signore avanti negli anni e un po’ casinista. Nel guardare il cielo con la carta, togliendo e mettendo gli occhiali, accendendo e spegnendo la sua pila portatile, finisce per infastidire gli astanti: “Delle ombre silenziose si stanno muovendo sulla sabbia; una coppia d’innamorati si stacca dalla duna, un pescatore notturno, un doganiere, un barcaiolo. Il signor Palomar sente un sussurro. Si guarda intorno: a pochi passi da lui s’è formata una piccola folla che sta sorvegliando le sue mosse come le convulsioni di un demente”. Gli somigliamo oppure no?
Cosa leggere
Palomar di Calvino esce nel 1981 da Einaudi, ora lo ristampa Mondadori nell’economica collana degli Oscar; vale la pena di leggere anche Le cosmicomiche nella medesima collana; ma anche i racconti non entrati in Palomar e dedicati ai buchi neri; si trovano nel volume di “Riga” dedicato allo scrittore (Marcos y Marcos editore); Piero Boitani ha scritto il libro definitivo sulle stelle di 616 pagine, riccamente illustrato: Il grande racconto delle stelle (il Mulino) c’è dentro tutto quello che si vuole sapere sull’argomento dalla letteratura all’arte e alla musica, dai Greci ai giorni nostri.
Pubblicato su Doppiozero il 25 Settembre 2016.
Immagine di copertina: Carsten Nicolai, Syn chron, 2005.
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