Non è un reperto da museo. I muretti costruiti con i sassi, dal Giappone alla Gran Bretagna, dall’Himalaya alle Ande, dopo i decenni dell’abbandono rivivono un’insperata stagione di consapevolezza collettiva. “All’improvviso – dice il regista Michele Trentini, che sabato prossimo presenterà il documentario “Uomini e pietre” – anche i ragazzi capiscono che la bellezza conta. Anzi: che è decisiva per il destino di ogni comunità”. Cipro, Grecia, Italia, Francia, Svizzera e Spagna a fine aprile hanno candidato la “tecnica dei muretti a secco in agricoltura” a patrimonio immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. Il sì italiano è teso a salvare i terrazzamenti e le millenarie barriere di divisione che segnano il profilo naturale del Paese: in Liguria e nel Salento, lungo la costiera di Amalfi e sull’Etna, a Pantelleria e in Toscana, su tutto l’arco alpino e nel cuore dell’Appennino. Questo tesoro sembrava consegnato alla rovina e alla nostalgia. Contadini, architetti, imprenditori, scienziati e promotori del turismo, lo rilanciano in tutto il mondo quale modello avanzato di uno sviluppo nuovo, capace di generare lavoro e ricchezza senza consumare la natura. La commissione Unesco visiterà i muretti a secco italiani fino all’anno prossimo, la decisione di accoglierli tra i beni essenziali della civiltà è fissata per il 2019.
“È un passaggio decisivo – dice il geografo Mauro Varotto, docente all’Università di Padova e anima italiana dell’Alleanza internazionale per i paesaggi terrazzati – che può garantire le risorse pubbliche per conservare l’eroica spina dorsale che unisce i popoli con una storia di miseria e di fatica”. In Italia risultano censiti 170mila chilometri di muri a secco, quelli stimati sono oltre 300mila. Gli ettari di campi terrazzati sono altrettanti. La Grande Muraglia cinese, quasi totalmente ricostruita, è lunga 8mila chilometri. Il valore delle pietre accumulate e incastrate nei secoli per permettere agli uomini di coltivare la terra e di allevare gli animali, ossia di vivere, non sfugge più a nessuno. Esperti e appassionati di tutti i continenti ne hanno discusso in Cina, in Perù e in Italia, tra Padova e Venezia: il prossimo convegno internazionale dei paesaggi terrazzati si terrà nelle isole Canarie. Il problema è comune: evitare che una sapienza antica, trasmessa oralmente, muoia assieme ai suoi ultimi custodi. “Costruire un muro a secco – dice il progettista rurale Massimo Stoffella – è come generare una persona. Nasce qualcosa di vivo, per esistere gli occorre un’etica: può essere bello, ma se non ha sostanza prima o poi crolla. Durare impone equilibrio e per questo conta quello che c’è dietro: servono tutte le virtù, ma è il difetto a connotarlo nel tempo”. A Terragnolo, ai piedi dell’altopiano di Asiago, il 24 giugno si terrà il primo Festival internazionale “Sassi e non solo”. Sette squadre di sfideranno nella costruzione del muro a secco perfetto, donato poi ai contadini della Vallarsa. La competizione rivela il boom che sconvolge una missione edilizia che l’urbanizzazione, assieme alla civiltà industriale e al progresso tecnologico, sembravano aver emarginato. Migliaia di giovani, donne comprese, si innamorano dei muretti naturali in pietra, alzati senza malte e senza cemento, e chiedono di imparare a restaurarli. Nel resto d’Europa il titolo di “maestro di muri e pavimenti in pietra” è già riconosciuto. In Italia la prima scuola è stata aperta presso l’Enaip di Villazzano, in Trentino, e dopo due anni di corsi ha appena diplomato i primi 18 artigiani specializzati. L’iniziativa è dell’Accademia della Montagna e intercetta una crescente domanda di professionalità. “La crisi – dice la direttrice Iva Berasi – rivela opportunità salutari. Impone il recupero di un’agricoltura più sostenibile e di una vita più semplice. I muretti a secco ne diventano il simbolo. Rimarginano le ferite dell’abbandono e confermano il valore economico della bellezza.
Un Paese come l’Italia, fragile e fondato sulla qualità dell’arte e del cibo, si salva cominciando a rimettere in piedi i sassi che da sempre tengono tutto insieme”. Centinaia, da tutte le regioni, le domande di giovani che vogliono frequentare la scuola trentina della pietra a secco, sette i corsi di secondo livello pronti a partire. Per le imprese edili offrire una competenza certificata significa allargare il mercato. Si creano posti di lavoro per muratori di alto livello e nemmeno alla nuova generazione dei contadini sfuggono le opportunità commerciali: uno ha chiamato “707” il suo vino di punta, per ricordare ai consumatori i chilometri di muri a secco che sostengono le sue colline, garanzia di rispetto e di passione. “La leva di un boom mondiale – dice il naturalista padovano Antonio Sarzo – è proprio l’emozione. Tra le pietre vivono animali e piante, filtra l’acqua. Le persone sentono di non pesare sulla terra, anzi di poterla aiutare con le loro mani. Lavorare o riposare in armonia con la natura è la sola strada verso un futuro buono”. Per questo Carmelo Brugnara sogna di trasmettere al figlio barista il segreto per “tirare coi sassi un muretto che dura”.
Tra le vigne di Ceola non pensa ai muri spinati che i leader globali vogliono alzare come monumenti alla paura che giustifica il loro potere. Quelli poi crollano. “Io sono un piccolo – dice – penso solo a pulire e a tenere su il posto in cui sto per accogliere tutti. Altrimenti resta da fare”.