Se la frugalità diventasse virale?
8 gennaio 2018 8:21di Emrys Westacott
Mettiamo un attimo da parte queste considerazioni sulla crescita economica e sulla felicità, e torniamo a questa domanda: e se tutti abbracciassero la semplicità frugale? Immaginiamo che i vari movimenti che invocano la semplificazione, la lentezza, il ridimensionamento delle esigenze e il rallentamento dei ritmi riescano davvero a decollare e che ovunque ci sia la corsa a adottare uno stile di vita frugale. Il ricco rifugge dallo sperpero, i benestanti vendono i loro oggetti di lusso, i negozi di abiti e mobili usati vengono presi d’assalto, ovunque la gente insegue l’autosufficienza e la smette di pagare altri per tagliare il prato, riparare il suo water, tinteggiare le pareti di casa o cucinare. E immaginiamo che tutto questo succeda proprio alla vigilia di Natale!
Non c’è bisogno di fare tanti conti per capire che le conseguenze immediate sarebbero disastrose. I produttori di oggetti costosi ed economici, dalle automobili ai vassoi per biscotti, incomincerebbero subito a licenziare dipendenti, e lo stesso farebbero migliaia di rivenditori, ristoranti, boutique, saloni e altri fornitori di servizi non essenziali.
Interi settori dell’economia legati allo svago e all’intrattenimento in teoria collasserebbero, in quanto la gente darebbe un drastico taglio all’acquisto dei salati biglietti dei concerti, del teatro e degli eventi sportivi. I college vedrebbero crollare le loro iscrizioni, in quanto i giovani deciderebbero di evitare il pagamento di rette esose. Probabilmente sarebbe più facile dire quali attività economiche sopravvivrebbero che stabilire quali soccomberebbero.
I discount, eBay e il portale di annunci Craigslist presumibilmente andrebbero a gonfie vele. Anche i meccanici che fanno riparazioni e i negozi del fai-da-te, che ci aiutano a farci bastare quello che invece avremmo rimpiazzato, probabilmente prospererebbero. Ma la maggior parte delle attività economiche andrebbero in crisi. Perfino gli impresari delle pompe funebri, che normalmente sono immuni dalle fluttuazioni del mercato, ne soffrirebbero, perché tutti opterebbero per bare di cartone al posto di quelle di quercia con imbottitura e maniglie di ottone.
Il problema di fondo è che l’economia nella quale siamo immersi richiede un livello decisamente alto di attività economica continuativa anche solo per rimanere in piedi. In particolare richiede che un sacco di gente compri un sacco di cose. Come l’economista Paul Krugman non si stanca di ricordare ai lettori del New York Times, questa è la chiave per capire la recessione che è incominciata nel 2008:
È sempre importante ricordare che ciò che deprime l’economia degli Stati Uniti di questi tempi non è la mancanza di capacità produttiva, ma la mancanza di domanda. La bolla immobiliare, l’indebitamento eccessivo delle famiglie e i tagli intempestivi alla spesa pubblica hanno creato una situazione nella quale nessuno vuole spendere; e siccome il tuo spendere è il mio guadagno e il mio spendere è il tuo guadagno, questo porta a una crisi economica generalizzata.
Se gli introiti e le spese dovessero scendere al di sotto di un certo livello, l’economia entrerebbe in stallo, come un aereo che ha lasciato che la sua velocità scendesse al di sotto di un punto critico. Se questo accadesse, milioni di persone perderebbero il lavoro, con conseguenze disastrose.
Le persone che non possiedono capitali precipiterebbero nella povertà. Quelli che navigano già in cattive acque potrebbero beneficiare in qualche misura della caduta dei prezzi, ma avrebbero ancora meno possibilità di uscire dalla povertà.
Le entrate fiscali del governo crollerebbero, mentre aumenterebbero le spese per aiutare i bisognosi, con una conseguente erosione della capacità del governo di finanziare o sussidiare attività di pubblico interesse come l’istruzione e la protezione dell’ambiente. E non sarebbe solo il benessere materiale di tutti a risentirne. La disoccupazione involontaria spesso porta alla depressione.
Secondo un sondaggio Gallup del 2013, il 12,4% degli americani senza lavoro hanno riferito di essere stati in cura per depressione, percentuale più che doppia di quella che riguarda le persone depresse con un lavoro a tempo pieno.
Tra i disoccupati di lungo corso – quelli che erano stati fuori dal mondo del lavoro per più di ventisette settimane – la percentuale saliva al 18%. Un’altra conseguenza meno ovvia di un’economia in crisi, che rende molto più difficile trovare una via di uscita, è che porta le persone a essere meno avventurose, perché in tempi di cili sono meno disposte a rischiare di perdere quello che hanno; prosperità, opportunità e fiducia, al contrario, tendono a incoraggiare l’innovazione.
Fermiamoci qui. Una moderna economia capitalistica è senz’altro una macchina goffa, soggetta a periodiche impennate e frenate, che porta scompiglio nelle comunità incentrate su industrie che hanno chiuso i battenti o hanno portato la produzione altrove, costringe milioni di persone a lavorare più sodo di quanto vorrebbero, nega a milioni di individui l’opportunità di un lavoro retribuito in modo adeguato e condanna decine di milioni di persone a vivere al di sotto della soglia di povertà. Tuttavia la vita per come la conosciamo, e per come molti, chi più chi meno, la vogliono, subirebbe una battuta d’arresto se un numero consistente di persone abbracciasse l’ideale della frugalità. La salute di un’economia moderna dipende fortemente dalla disponibilità della gente a spendere più del necessario in cose essenziali e ancora di più in cose superflue.
Questo non semplicemente per il fatto che ci dev’essere in generale un livello sufficientemente alto di incassi e di spese. Anche l’innovazione richiede che almeno un certo numero di persone abbia una mentalità anti-frugale.
Spesso le novità tecnologiche alla loro prima uscita sul mercato sono costose e non sempre perfettamente performanti. I clienti arrembanti che hanno comprato i primi computer portatili o le prime telecamere digitali hanno pagato molto di più per un prodotto meno performante rispetto a coloro che intelligentemente hanno aspettato che il prezzo calasse, per via delle imperfezioni da sistemare e dei vantaggi della standardizzazione e della compatibilità che sono arrivati solo quando un congruo numero di persone è passato alla nuova tecnologia.
In questo caso l’approccio frugale è un parassita dell’attività degli spendaccioni. Eppure senza gli spendaccioni la tecnologia innovativa, dalla quale tutti traiamo benefici e che alla fine fa da traino a un gran numero di attività economiche, potrebbe non essere mai considerata commercialmente praticabile.
Ovviamente la probabilità che il fanatismo frugale diventi virale dalla sera alla mattina è remota. Alla maggior parte della gente piace consumare. Possiamo immaginare che un evento simile si verifichi in risposta a un crollo dell’economia, ma è improbabile che un cambiamento subitaneo di mentalità sia la causa di quel crollo.
Uno scenario leggermente più plausibile, invece, è quello in cui i valori frugali e anticonsumistici prendano piede gradualmente, per esempio a causa di una crescente preoccupazione per l’ambiente o forse anche solo perché la gente ha fatto indigestione di consumismo. Può darsi che un bel giorno cominceremo a guardare al mezzo secolo trascorso, o giù di lì, come a un’imbarazzante, anche se comprensibile, fase temporanea, nella quale la gente nelle società ricche ha reagito alla novità di aver raggiunto un potere d’acquisto senza precedenti nella storia dell’umanità comprando tonnellate di cose solo perché se le poteva permettere, proprio come chi ha patito la fame per anni si abbufferebbe trovandosi davanti a un ricco banchetto, andando oltre il punto in cui il cibo fa bene ed è un piacere.
Se la frugalità diventasse pian piano una moda, l’economia non colerebbe a picco, ma potrebbe scivolare lentamente in una depressione che andrebbe avanti fintantoché la domanda rimane bassa. A qualcuno questa possibilità basterà per trarre la conclusione che i sostenitori della semplicità frugale sono degli irriducibili illusi e che i loro ideali non sono praticabili.
Camminare per raccontarlo #2
Oggi viene pubblicata la seconda parte del longform di Fabrizio Spinelli, la prima parte si può leggere qui: http://www.jazzi.it/2018/08/30/camminar
Leggi tuttoCamminare per raccontarlo #1
Oggi viene pubblicata la prima parte del longform di Fabrizio Spinelli, la seconda sarà online fra una settimana. di Fabrizio Spinelli. Nel
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