Cesare Pavese, ne “La luna e i falò” scriveva: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Sono le parole che accompagnano il ritorno di Anguilla, che ritrova nei luoghi trasformati dalla storia e dagli eventi, il senso di “casa”. Casa che è legata ai luoghi naturali, alle vallate, agli spazi di familiarità.
JAZZI è un programma triennale di valorizzazione e narrazione del patrimonio ambientale, materiale e immateriale, dell’area a nord di Licusati e alle pendici sud del Monte Bulgheria, all’interno del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.
JAZZI vuole realizzare azioni e progetti focalizzati sull’idea di un nuovo modo di abitare la relazione con la natura.
Il Parco, risultato dell’opera combinata della natura e dell’uomo, è oggi un paesaggio vivente che, pur mantenendo un ruolo attivo nella società contemporanea, conserva i caratteri tradizionali che lo hanno generato, nell’organizzazione del territorio, nella trama dei percorsi, nella struttura delle coltivazioni e nel sistema degli insediamenti. Nel Cilento si realizza l’incontro vero tra mare e montagna, tra oriente e occidente, tra culture nordiche e culture africane: il territorio fonde in sé popoli e civiltà e ne conserva le tracce nei suoi caratteri più distintivi.
Il progetto intende così sviluppare un percorso naturalistico e antropico nel Cilento che comprende il recupero dei sentieri e dei percorsi lenti.
Obiettivo è dunque la rigenerazione urbana degli iazzi attraverso il soggiorno notturno e una proposta di forme di fruizione del paesaggio tese alla valorizzazione dell’esperienza e del riuso.
Il progetto promuoverà le attitudini del territorio, del paesaggio e del capitale sociale locale, stimolando investimenti, in particolare sulle potenzialità inespresse del territorio stesso.
Ci sono linee dell’orizzonte che potremmo riconoscere senza difficoltà, scorci che ci sono sempre appartenuti, che sono dotati di una caratteristica fondamentale dell’abitare: la familiarità. Familiare è infatti quello spazio –pubblico o privato- che abbiamo attraversato senza che sia più necessario prestarvi attenzione. Questo è ciò che rende qualunque dimensione spaziale (pubblica, privata, antropica o naturale) casa.
Eppure, non è detto che quegli spazi che instaurano direttamente con noi rapporti ‘confidenziali’ non riservino possibili scoperte o nuovi sentieri da percorrere.
La natura è casa infatti nella misura in cui è riconoscibile la “presenza”. Ernesto de Martino definisce la presenza come la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per reagire adeguatamente alle situazioni storiche, attraverso una partecipazione attiva che connette il passato, i vissuti, la memoria e l’azione. La crisi della presenza determina lo spaesamento, che può essere attenuato attraverso la ripresa e il riconoscimento dei percorsi del passato nell’esperienza presente.
Il viaggio, etimologicamente, significa “il cammino da un luogo all’altro che siano tra di loro lontani”. La lontananza era tale da prevedere una provvista: il viatico, che ha donato poi il nome all’andare. Il viaggio si realizza appagando due dimensioni: quella spaziale, e quella temporale. Dimensioni spesso compresse dai viaggiatori, che hanno sempre più ridotto le distanze e i tempi. I viaggi che privilegiano lo spazio naturale, invece, si adattano alle sue forme e i suoi intervalli. Abitare la natura impone il rispetto di queste due dimensioni. Se la dimensione spaziale è quella tipica del contesto naturale, anche la dimensione temporale assume una connotazione peculiare.
Così come in cucina, dove le pietanze più gustose richiedono lunghi tempi di cottura, anche per godere appieno della natura serve “il tempo necessario”. È il tempo dell’attraversamento, che può essere solo a piedi, e che impone il passaggio dalla passeggiata alla dimensione del viaggio. Il cammino nella natura prevede che anche la sosta sia parte del percorso, il prendersi il tempo e il vivere per intero i cicli della giornata, del dì e della notte, osservare le stelle e le albe.
La sfida di questo progetto diventa quindi sia cognitiva che operativa: guardare l’esistente con occhi diversi (innovare), e di avviare circuiti virtuosi attraverso il riciclo e il recupero delle strutture e che costeggiano i sentieri del parco (la presenza). Sono i mulini, i frantoi, i tratturi, e, soprattutto, gli Jazzi, che verranno fatte rivivere e diventeranno luoghi d’accoglienza per i nuovi viaggiatori.
Queste forme dell’abitare, legate alla storia e alla tradizione del Cilento, saranno trasformate seguendo i principi di ospitalità e convivialità, grazie ai quali si può creare un laboratorio attivo e dinamico che risponda al bisogno di incontro e di scambio di conoscenze per scoprire un nuovo modo di abitare la natura attraverso strategie individuali e collettive, intrecciando esperienze sedimentate e nuove percezioni. Il focus è la relazione che stabiliamo con la natura per ritrovare la meraviglia, per superare lo spaesamento.
Abitare la natura nella sua accezione più autentica significa, infatti, sovvertire l’attuale paradigma di mero sfruttamento della risorsa naturale, puntando alla valorizzazione dell’esistente, al restituire allo spazio lo sguardo attuale senza perdere la prospettiva della memoria. Trovare e ritrovare, come capita ad Anguilla, una dimensione di casa, anche se lontani.