Le fate lacrimanti dello jazzo Valli Cupi

11 luglio 2016 15:08 di jazzi

Nelle valli del monte Bulgheria, salendo verso la cima, a un certo punto si vede il mare. Appare all’improvviso e nelle giornate terse, così come in quelle di tempesta, non c’è differenza tra il cielo e l’acqua. È un azzurro che ferma la prospettiva, restituisce la quiete.

Di notte quando il mare si fa scuro quella linea viene demarcata solo dalla presenza delle stelle. La cima del monte è il punto in cui le stelle sembrano più vicine perché la notte si appiattisce sullo sguardo, il cielo sembra un lenzuolo sulla testa .

La cima del monte diventa, oggi come ieri il luogo dell’irraggiungibile. Meta e nascondiglio dei sogni e dei timori. Leggenda vuole che sulla cima del monte si nascondessero le fate che avevano scelto il luogo della quiete e dell’irrazionale come dimora. Le fate sono descritte ora come stelle, ora nuvole, ora come lampi. Sono lontane dal paese e silenziose.

Le fate sono figure della leggenda che intrecciano la loro geografia e comparsa e magia con la bellezza dei cieli stellati. Sono compagne delle notti dei pastori, inventrici di incanti, tessitrici di nuvole, in grado di determinare le sorti del tempo e dell’agricoltura.

A volte raffigurate come muse, esseri mitologici incastonati in cielo per essere protette dalle divinità che volevano sedurle, le fate lacrimanti sono la versione pagana e pastorale delle Pleiadi e con esse condividono lo stesso potere: splendere nella notte, illuminare il cammino del pastore, fare compagnia nella contemplazione, determinare le precipitazioni e l’esito delle semine.

Ma anche far spuntare funghi, favorire quegli incanti che la natura regala.

Per questo motivo il cercatore batte gli stessi sentieri che ogni volta possono portare a nuove scoperte. Le erbe e le orchidee selvatiche, i muschi che costeggiano i sentieri ritornano così annualmente a un disordine quasi magico. La logica corrente attribuisce questa casualità al cambiamento del clima, dei venti e delle perturbazioni.

La leggenda invece racconta che anche il clima sia il prodotto di quelle stesse magie. E nulla è più magico della pioggia, proprio perché in terra di siccità, intrecciare correttamente le nuvole significa offrire una garanzia di erbe, fiori e frutti per gli abitanti e per gli animali.

I boschi di ulivi sono abitati da queste leggende, che raccontano di quiete, solitudine e meditazione, rendendo questi sentieri oggi preziosi cammini, e al contempo, luoghi di ristoro notturno. Jazzo non a caso deriva da jacere, giaciglio, luogo del riposo e Valli Cupi rappresenta il punto di meditazione principale, ma anche il punto di maggior rigogliosità e pioggia: la cima della montagna.

Così, dalla vetta, nelle notti chiare di primavera, quando le Pleiadi sembrano ancora più vicine, e le lucciole confondono gli occhi degli osservatori, qualcuno sente ancora la presenza del magico, che rende il reale più soffice e la sosta irripetibile.

Dove la notte è più buia, quel Cupi così forte da diventare toponimo, le stelle sono una guida potente per il riposo solitario e per la festa, per le zampogne e per le ciaramelle, ma anche per i grilli e le cicale in quel nero talmente nero, da far dimenticare che lì, davanti agli occhi c’è proprio il mare.

valli cupi

 

Condividi
Download